Il Grattacielo che non c’è: MACAO

La stagione si faceva bella e Milano non sembrava lei. In Accademia giravano voci che facevano presagire che qualcosa di grosso sarebbe successo nei mesi seguenti. Un collettivo che prendeva il nome di Lavoratori dell’Arte aveva aperto un varco nell’immaginario milanese lanciando iniziative riguardanti l’apertura di un Nuovo Centro per le Arti e la Cultura in città: MACAO, un acronimo da definire simile a quelli dei grandi musei nazionali e internazionali, ma in cui si poteva intravedere anche il paesaggio di un’esotica spiaggia assolata. MACAO non c’era ancora ma era già qualcosa, un marchio e un’immagine sfumata in cui chiunque avrebbe potuto proiettare i suoi desideri. Ognuno vide MACAO a suo modo, ma tutti lo immaginarono come uno spazio in cui le modalità di produzione di arte e cultura potessero essere ridefinite radicalmente. Di ciò che è accaduto prima poco si può dire, ma il 5 maggio del 2012 venne organizzata un’inaugurazione.

Campagna Video Box

L’incontro era programmato al centro del quartiere Isola, un luogo simbolico importante: il quartiere era stato recentemente oggetto di un pesante progetto di gentrificazione: tutta l’area era stata ripensata in verticale: Il bosco di Gioia sostituito con il grattacielo nuova sede della Regione Lombardia, gli affitti erano saliti e la popolazione meno abbiente era stata costretta a spostarsi in periferia. Nel quartiere erano già presenti importanti iniziative d’arte di conflitto; prima della realizzazione del nuovo progetto urbanistico era esistito Isola Art Center uno spazio occupato dedicato all’arte contemporanea all’interno della vecchia stecca degli artigiani. Gli artisti che animavano quel progetto si erano poi spostati nello spazio Isola Pepe Verde, proseguendo la lotta dopo che i vecchi spazi di Isola Art Center erano stati abbattuti.

Franco Bifo Berardi per MACAO

Per partecipare all’inaugurazione era consigliato di vestirsi elegantemente e di portare qualcosa da bere per festeggiare, dato che l’organizzazione forniva solo lo spazio.

Quello che successe superò la più fervida immaginazione possibile.

All’incontro mattutino erano presenti una trentina di persone, che diventarono un centinaio lungo la breve passeggiata per raggiungere l’obiettivo: Torre Galfa. Il palazzo, ubicato tra il Pirellone e il Nuovo Palazzo della Regione, è un grattacielo di trenta piani di proprietà dell’immobiliarista Ligresti. Era vuoto da anni, fungendo da fondo immobiliare per gli affari del gruppo, e non era stato toccato dal progetto di riqualificazione dell’area. All’apertura delle porte operata da una squadra tecnica di esperti del movimento milanese, poco più di un centinaio di persone si riappropriarono di un bene stato indisponibile alla cittadinanza per molto tempo. Non si trattava di un occupazione, ma di una liberazione.

Foto di Nicola Marfisi

Già allora MACAO non era un’esperienza solitaria in Italia, faceva riferimento ai movimenti per i beni comuni che erano partiti a Roma con il Teatro Valle e a Venezia con i Magazzini del Sale. Le innovazioni sul piano comunicativo furono determinanti: i nuovi linguaggi utilizzati premisero l’avvicinamento di persone fino ad allora scarsamente politicizzate accanto a militanti di lungo corso. Fu questa la cosa più bella, che determinò che in poche ore Torre Galfa fu gremita da migliaia di persone. “I ragazzi di MACAO”, scrissero le testate nazionali ma in verità c’erano tutti: donne e uomini, professionisti, lavoratori, disoccupati e studenti.

Presto si divisero in tavoli per organizzare le attività contingenti e progettare il Centro per le Arti e la Cultura del futuro. C’erano tavoli più tradizionalmente politici come quello dedicato agli studi di genere o alle politiche del territorio; altri dai tratti più tecnici come quello degli avvocati che si rifacevano al diritto costituzionale per la legittimazione dell’illegalità che si stava compiendo; altri ancora travolti dal turbine emergenziale della contingenza. Quelli di comunicazione e teoriazione gestivano i rapporti con la stampa, e al tavolo eventi arrivarono le partecipazioni di numerosi musicisti sostenitori più o meno famosi.

Tavolo Comunicazione

Ogni tavolo era aperto, e vedeva la partecipazione fianco a fianco di gente di tutte le età; alcuni erano arrivati sul posto direttamente in abiti da lavoro, c’era chi indossava tute da operaio e chi era in giacca e cravatta. Ogni strato sociale era rappresentato e tutti lavoravano insieme per la costruzione di un sogno comune con una solidarietà e un’attenzione che è stata una doccia d’acqua fresca nel deserto relazionale di Milano.

Assemblea ai piedi di Torre Galfa

Alla guida della città c’era il Sindaco Pisapia, questo insieme alla massacritica raggiunta e ai tempi tecnici necessari per far diventare operativa una denuncia d’occupazione di uno spazio privato, determinò che le istituzioni non misero in campo una reazione violenta immediata. Ma la liberazione di Torre Galfa non poteva durare e le centinaia di persone si fermarono nei pressi dell’edificio bloccando la strada per giorni. Anche questa soluzione non poteva essere definitiva.

Seguirono giorni di assemblee itineranti, in cui il gruppo formatosi a Galfa diminuì di numero ma consolidò le relazioni, la dimesione emergenziale si sciolse e nella maggiore calma poterono trasformare l’evento vissuto insieme in amicizia. Fu il modo anche per trovare delle modalità più strutturate, sperimentare il metodo del consenso e fare tentativi di nuove forme di voto.

Seguì una deriva alla ricerca di uno spazio che potesse essere definitivo approdando alla fine al Ex Macello delle Carni di Viale Molise. Se volete leggere la storia nel dettaglio c’è una ricostruzione completa sul sito di MACAO. All’Ex Macello le attività politiche e culturali continuarono, si susseguivano attività di ogni tipo culturali e ricreative con un’impronta tanto spontanea quanto autentica, furono momenti bellissimi di crescita collettiva.

Incontro su Arte e Politica

MACAO non aveva una struttura interna esplicita, questo era sia il suo punto di forza che di debolezza, le relazioni erano improntate su responsabilità, fiducia e trasparenza senza ruoli. Il carattere fondamentale era l’apertura, chiunque poteva accedere ai tavoli resi pubblici sul sito e prenderne parte contribuendo attivamente alla presa delle decisioni, non c’erano informazioni contenute da organi direzionali. Il margine tra interno e esterno era completamente permeabile e le relazioni che si stringevano al suo interno non erano ragione d’esclusione di chi veniva da fuori.

L’intento era questo, ma nella pratica le cose erano più complesse. In un certo senso è fisiologico che alcune persone finissero per ricoprire ruoli di leadership, che alcune relazioni si facessero più solide e determinanti di altre, che rotture anche del gruppo delle persone più dedite determinassero incomprensioni e fuoriuscite.

In alcuni casi l’autoconservazione, l’attaccamento e il bisogno di sicurezza vinse sulla priorità di restare trasparenti rispetto all’esterno, la coerenza tra mezzi e fini ai miei occhi si ruppe e persi di vista il progetto.

Antonio Caronia

Ogni tanto mi capita di tornarci. Oggi è uno dei centri sociali occupati più belli d’Italia, continuano ad essere promosse attività di grande interesse politico, artistico e culturale.